Non era la prima volta che assistevo a scene drammatiche. Pochi mesi fa vidi l’investimento di una bambina che attraversava la strada sulle strisce pedonali, per raggiungere il fratello che l’aspettava tendendole la mano, da parte di uno scooterista che disse poi di non averla vista.
Fu travolta così in pieno che pensai sarebbe morta, ma fortunatamente pur dolorante e piangente, zoppicando ha corso fino a casa sua, seguita dal fratello sotto shock e dai passanti increduli ed esitanti perché non voleva essere toccata da nessuno.
Qualche mese addietro invece mi toccò di assistere all’investimento di una ragazza in bici che attraversava sulle strisce, sempre da parte di un altro scooterista che, invece di fermarsi in coda all’auto che aveva dato la possibilità alla ragazza di attraversare, senza minimamente rallentare aveva superato l’auto investendo la bici quasi in pieno, facendo rovinosamente volare la ragazza per terra, dove ci restò fino all’arrivo dei soccorsi. Allora pensai che se invece della bici ci fosse stato un passeggino con un neonato la moto l’avrebbe ucciso ed ero furioso con il centauro spericolato anche perchè nei millisecondi che precedettero l’impatto avevo già intuito quanto sarebbe accaduto, ma non ho potuto fare nulla.
Molti anni fa invece, mentre ero in una sala d’attesa uno dei presenti ebbe un infarto. Non so se si sia salvato, pur ricevendo l’immediato soccorso di qualcuno che, evidentemente preparato, gli tirò fuori la lingua per impedirgli di soffocare finchè non arrivò l’ambulanza.
Altre due volte ho visto persone svenire, cascare per terra improvvisamente, ma ancora semi coscienti, in attesa di soccorsi.
Infine ancora più indietro mentre per lavoro camminavo su di un traliccio orizzontale, ad una quindicina di metri dal suolo, vidi un mio collega sparire improvvisamente. Ebbe i riflessi pronti e riuscì ad aggrapparsi in tempo per non cadere giù.
A parte poi l’aver sentito la pelle di mio padre fredda come il marmo alla fine di una lunga malattia, esperienza che fa riflettere davvero su cosa c'è dopo la vita, direi di non aver più avuto contatti con la morte o il suo rischio.
La scena del suicida è stata surreale. Infatti, abituati ai film, scene simili sono già state viste centinaia di volte. Ma viverle nella realtà lascia una strana sensazione di dissonanza. Da una parte quasi normalità, dall’altra la consapevolezza di aver assistito, per la prima volta nel mio caso, ad una morte violenta. Più forte dello shock poi era la voglia di capire se era scivolato o era stato spinto o si fosse gettato intenzionalmente.
Nella nostra relativamente tranquilla società, raramente capita di vedere la morte dal vivo. E quel che più mi ha colpito, ancora una volta, è la constatazione, come per alcuni miei colleghi vittime di malattie o infarti, che la morte è un processo irreversibile. Sembra scontato, ma una cosa è dirlo, un'altra viverlo.
Colpisce che una persona, che pochi minuti o giorni prima era viva, respirava, parlava, aveva emozioni, ricordi, con cui potevi discutere… all’improvviso non c’è più. Come nel caso del suicida, diventa un corpo inerte, immobile, a parte gli spasmi muscolari che facevano pensare fosse solo ferito e incosciente.
La morte è irreversibile, questo rende più consapevoli di quanto abbia valore la vita, gli affetti, le relazioni… e nel caso di quel pover’uomo, che chissà per quale motivo ha deciso di porre fine alla sua vita, rimane un’amara certezza: che se questa società fosse giusta come dovrebbe, se desse alle persone, alla solidarietà, all’amore l’importanza che invece attribuisce al denaro, al potere, all’apparire... tante morti, tanto dolore e sofferenza si potrebbero evitare.
In questo siamo tutti responsabili, ed una cosa ho “sentito” e capito ieri: ogni volta che muore un essere umano, vicino o lontano che sia, conosciuto o meno, muore una parte di noi. Non lo possiamo comprendere, ma in qualche modo noi siamo tutti connessi e ciò che accade nel mondo, nel bene e nel male anche se in maniera sottile ed incomprensibile, influisce in ognuno di noi...